La Cassazione con l'ordinanza n. 21247/2021 (sotto allegata) detta i criteri di ripartizione del TFR in favore del coniuge superstite e di quello divorziato, quando sono entrambi titolari del diritto alla pensione di reversibilità. Nel farlo corregge la sentenza della Corte di Appello, che nel decidere, non ha fatto corretta applicazione di quanto sancito dalla legge e dalla giurisprudenza in materia. Ripercorriamo la vicenda e il percorso logico giuridico seguito dagli Ermellini.
La vicenda processuale
La Corte di appello riconosce al coniuge divorziato il 40% del TFR, tenendo conto degli anni in cui il rapporto di lavoro ha coinciso con il matrimonio. Il restante 60% deve essere ripartito tra il coniuge superstite e i figli in misura paritaria, in quanto la perizia ha accertato uno stato di bisogno sovrapponibile.
Il coniuge superstite però ricorre in Cassazione sollevando, per l'argomento che qui interessa approfondire, i seguenti motivi.
Con il terzo deduce la violazione dell'art. 2122 c.c perché la Corte di Appello, nel calcolare la quota del TFR in favore dei figli, non ha tenuto conto del loro maggiore stato di bisogno della bimba di 10 anni rispetto alle due figlie maggiorenni che hanno potuto contare fino alla maggiore età dell'aiuto del padre.
Con il quarto lamenta la violazione dell'art. 2122 c.c coordinato con l'art. 9 della legge n. 898/1970 perché la Corte di Appello, nel riconoscere al coniuge divorziato la sua quota di TFR, ne ha valorizzato gli anni di matrimonio, trascurando al contrario quelli di convivenza ante matrimonio con il coniuge superstite.
Con il quinto evidenzia come la Corte nel ripartire le quote del TFR ha trascurato di dare rilievo alla durata del matrimonio del coniuge superstite.
Con il sesto si duole della violazione dell'art. 1 commi 35 e 65 delle n. 76/2016, dell'art. 2122 c.c coordinato con l'art. 9 della legge n. 898/1970 per quanto riguarda l'attribuzione del TFR al coniuge divorziato perché è stato trascurato anche il periodo intercorso dal matrimonio al divorzio e il fatto che la convivenza era cessata sin dalla separazione, mentre era dal 2006 che il de cuius conviveva con quella che sarebbe poi diventata la seconda moglie.
La Cassazione accoglie quarto, il quinto e il sesto motivo, mentre dichiara inammissibili tutti gli altri.
Per la Cassazione il terzo motivo in particolare è inammissibile anche perché la Corte di Appello ha ben tenuto conto della minore età della bimba, ma è giunta a ritenere sovrapponibili i bisogni di tutte le figlie perché una delle due maggiorenni ha marito e figlie ed è risultata titolare di un reddito annuo di 3.277,99 euro lordi proveniente da attività sovvenzionata da enti pubblici.
Trattazione unitaria della Cassazione invece per quanto riguarda il quarto, il quinto e il sesto motivo del ricorso, relativi alla ripartizione del TFR tra coniuge divorziato e coniuge superstite.
La Cassazione prima di tirare le fila della decisione finale sui suddetti motivi analizza la normativa di settore e ricorda alcuni dei suoi precedenti, per giungere poi alla conclusione della errata applicazione da parte della Corte di Appello dei principi sanciti proprio dalla giurisprudenza di legittimità.
Il giudice dell’impugnazione, infatti, avrebbe dovuto seguire la seguente procedura:
dapprima calcolare la quota di TFR spettante al coniuge superstite, tenendo conto del concorso eventuale di altri superstiti aventi diritto, applicando, stante l'assenza di accordo, il criterio del bisogno di ciascuno;
sulla quota riconosciuta al coniuge superstite avrebbe poi dovuto calcolare quella di spettanza al coniuge superstite, tenendo conto della durata del matrimonio e degli altri criteri indicati dall'art. 9 della legge sul divorzio, che si ispirano al criterio di solidarietà alla base del TFR così come quello della convivenza stabile ed effettiva.
Metodo che non equipara il coniuge divorziato agli eventi diritto. La sua posizione, infatti, si ripercuote solo su quella del coniuge superstite.
Nel caso di specie, in applicazione dei criteri illustrati nella motivazione, la Cassazione ritiene corretta la suddivisione in parti uguali del TFR tra il coniuge superstite e i tre figli del de cuius, per poi procedere al calcolo della quota spettante al coniuge divorziato, alla luce solo di quella spettante al coniuge superstite, dando rilievo alla durata del matrimonio così come della convivenza purché stabile ed effettiva.
Gli Ermellini cassano quindi il provvedimento impugnato, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello territorialmente competente a cui spetterà il compito di determinare la quota d'indennità di buona uscita spettante alla ricorrente (coniuge superstite) nel rispetto dei seguenti principi di diritto:
"In tema di regolazione della crisi coniugale, mentre l'art. 12 bis della legge n. 898/1970 (nel testo aggiunto dall'art 16 della legge n. 74/1987) si inserisce nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi divorziati prevedendo che l'ex coniuge divorziato abbia diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno divorzile, ai sensi dell'art. 5, ad una percentuale della indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro e tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio, l'art. 9, comma 3, della legge n. 898/1970 (come sostituito dall'art. 13, della legge n. 74/1987) regola il caso del concorso del coniuge con il coniuge superstite, avente i requisiti per la pensione di reversibilità, e stabilisce che una quota della pensione e degli altri assegni a esso spettante sia attribuita al coniuge divorziato, che sia titolare dell'assegno divorzile di cui all'art. 5."
"La ripartizione del trattamento di fine rapporto tra coniuge superstite e coniuge divorziato, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione, va effettuata ai sensi dell'art. 9, comma 3 della legge n. 898/970, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, e tra questi tenendo conto della durata della convivenza, ove il coniuge interessato alleghi e provi la stabilità e l'effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il de cuius."
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